E’ un canto dell’usignolo, una fantasia irresistibile.

Fin dall’inizio della mia avventura affianco ai colori rossoneri -plasmatasi in un periodo non irresistibile, calcisticamente parlando- il richiamo di un passato glorioso non ha eguali. In questi giorni si è fatta manifesta una suggestione, ancora presto per definirla un rumor, che vorrebbe il sempiterno Carlo Ancelotti accostato alla panchina del Milan. La fama precede l’ancipite reggiano, che in 13 anni a Milano ai tempi di Berlusconi, seppe vincere la cifra record di 4 Coppe dei Campioni, metà in campo e metà in panchina.

Statistiche mastodontiche ed un palmarès che non ha eguali che restituirebbero lustro dopo una stagione sciagurata da ogni punto di vista, panchina per prima. Dopo la cocente eliminazione dalla Champions League di pochi giorni fa, il glorioso ciclo madrileno pare giunto al termine. Per quanto rimanga ancora potenzialmente a libro paga del presidente Perez fino al 2026, potrebbero delinearsi scenari inattesi e, carte alla mano, improponibili.

Ma torniamo sotto la Madonnina, ove è il gracchiare della confusione dirigenziale a farla da padrona. È sotto gli occhi di tutti: il Milan, da mesi, cammina su un crinale di scelte sbagliate, figlie di un assetto societario che sembra aver perso -ancor prima del senso del gioco- le radici del suo DNA.

L’eredità dello Scudetto 2022, pur sembrando una buona base su cui edificare un ciclo, è diventata coperta di Linus per chi ha smarrito la bussola. Da lì in poi: una lunga serie di decisioni scomposte, disordinate, inoculate da un management più attento ai bilanci trimestrali che alla mentalità vincente. Gli americani, per antonomasia pragmatici e corporate-oriented, sembrano ignorare il peso storico e identitario di questo club. E intanto, congiuntamente all’operato sconclusionato della dirigenza, tra i tifosi aleggia un inesorabile sentimento di sfiducia ed incertezza.

In questo scenario così opaco, l’idea — anche solo sussurrata — di un ritorno di Ancelotti ha il sapore di un balsamo. Non solo per i numeri, per i trofei, per l’epica, ma per la capacità tutta sua di incarnare lo spirito del Milan che fu: carisma silenzioso, competenza assoluta, cultura della vittoria.

Corollario finale, la tifoseria del diavolo, tanto bistratta dall’atteggiamento distante e meschino di RedBird, si merita di sognare e Re Carlo è l’uomo giusto:

Ha vinto 11 competizioni UEFA.

E diciamolo: meglio 11 trofei in bacheca che 11 bilanci in attivo.

Perché alla fine, il calcio non si gioca su Excel.

 

 

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Informazioni sull'autore: Jacopo Galati

Mi chiamo Jacopo, sono un ragazzo di 24 anni che fa la spola tra Crema (CR) e Milano. A 11-12 anni provai a giocare a calcio per 2-3 anni ma con scarsi risultati, quindi ho subito appeso gli scarpini al chiodo. Durante l’adolescenza ho frequentato il liceo classico e, a Dicembre 2024, mi sono laureato in fashion Styling & Communication in Accademia del Lusso a Milano. Di nuovo negli anni delle superiori, ho fatto il pr per delle discoteche del mio paese, il che mi appassionava e -non meno importante- mi permetteva di avere sempre il tavolo. Da una prospettiva più ampia, il pallone ha sempre costellato la mia vita, in quanto mio papà è un fervente tifoso del Calcio Catania. Fin bambino il Milan mi ha sempre affascinato e, dopo l’addio dei senatori, ho iniziato a seguirlo quotidianamente sui portali di notizie. Amo il pallone e seguirne le partite e le dinamiche, con curiosità ed aneddoti annessi.